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Franz Boas

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DM.D.
view post Posted on 2/9/2008, 15:36




Franz Boas (Minden, 9 luglio 1858 – New York, 21 dicembre 1942) è stato un antropologo tedesco naturalizzato statunitense, tra i pionieri dell'antropologia moderna. Boas nacque nel 1858 in Germania presso una famiglia ebrea di idee liberali. Questa condizione lo rese particolarmente sensibile alle tematiche del razzismo nonché oggetto di vessazioni di stampo antisemita da parte di alcuni colleghi di studio all'università. La sua preparazione accademica fu variegata: prima si diede alla fisica, poi alla matematica, infine alla geografia. Proprio quest'ultima lo condusse indirettamente agli studi antropologici: nel 1883 partì per una spedizione scientifica presso gli eschimesi della terra di Baffin con lo scopo di analizzare gli effetti dell'ambiente fisico sulla società locale. Boas fece ritorno in Germania con la ferma convinzione che fosse la cultura e non l'ambiente a determinare le dinamiche sociali del popolo eschimese. Decise pertanto di dedicarsi all'antropologia. Nel 1886 decise di compiere un altro viaggio nell'America Settentrionale, recandosi assieme al linguista inglese Horatio Hale nella Columbia Britannica, per compiere uno studio etnografico sugli indiani della costa nord-occidentale. Nel corso di questi studi analizzò da vicino i kwakiutl, i chinook ed i tsimshian, mentre nel 1887 decise di stabilirsi negli Stati Uniti. Boas concepiva il lavoro sul campo come lo studio di singole culture o particolari aree culturali. Divenne professore alla Columbia University e curatore dell'American Museum of Natural History.

Boas era un giovane ricercatore di geografia quando entrò a far parte di una spedizione artica che lo condusse nella Terra di Baffin. Qui Boas scoprì che il gruppo eschimese degli Inuit possedeva una diversa serie di categorie cromatiche che influenzavano la loro percezione del colore dell’acqua del mare. Boas giunse alla conclusione che persino le nostre percezioni sensoriali possono venire influenzate da fattori culturali. Partendo da questa considerazione, egli iniziò una serie di studi sull’interazione tra fattori geografici e culturali e poco dopo abbandonò la nativa Germania per trasferirsi negli Stati Uniti e iniziare una serie di studi etnografici sulle tribù indiane nordamericane. Tali studi portarono Boas ad abbandonare l’assioma indistinto di cultura in favore dell’idea di una pluralità di culture influenzate – oltre che da fattori geografici – dai molteplici percorsi storici, dato che la Storia non segue un rigido schema evolutivo ma è costruita da un’infinita serie di percorsi. A queste conclusioni Boas arrivò attraverso lo studio sul campo, che da quel momento in avanti divenne il fondamento non solo metodologico ma anche teorico dell’antropologia, smantellando le tesi tyloriane. Attraverso un enorme lavoro di ricerca, Boas raccolse un quantità impressionanti di dati e informazioni riguardo la lingua, le usanze, i riti, le strutture sociali delle diverse tribù degli indiani d’america, dati che lo portarono a cogliere i particolari stili di vita che fanno di ogni cultura un’esperienza irripetibile altrove.

Lo studio di Boas sugli indiani non fu il primo, poiché era già stato compiuto da altri antropologi, il cui approccio spesso non fu solo scientifico: ad esempio l’antropologo evoluzionista Lewis Henry Morgan, che studiò le tribù degli Irochesi, nel 1846 si schierò dalla loro parte nominandosi avvocato difensore in una causa giudiziaria intentata da un gruppo di speculatori bianche che volevano prendersi le loro terre. Ad ogni modo, il contributo più importante di Boas fu l’introduzione dell’approccio detto particolarismo storico: esso è un procedimento induttivo fondato sull’osservazione empirica di un gruppo culturale ben localizzato e volto a metterne in luce le strutture sociali peculiari a partire dal suo specifico sviluppo storico. L’affermazione di Boas secondo cui la cultura non esiste, ma esistono invece diverse culture, trova il suo fondamento proprio nell’idea che ogni gruppo etnico sia diverso da un altro per il carattere irripetibile della sua storia. Ciò lo porta a ritenere impossibile l’esistenza di stadi di sviluppo comuni a tutta l’umanità. Un altro importante contributo di Boas all’antropologia è stato l’adozione del metodo idiografico contrapposto a quello nomotetico praticato dagli evoluzionisti e tendente a ricercare le leggi universali dell’agire umano. L’approccio idiografico deriva dallo storicismo tedesco e soprattutto dalle teorie di Wilhelm Dilthey: egli, in polemica col positivismo di Comte, esplicò per primo la distinzione tra scienze naturali e “scienze dello spirito” (oggi dette scienze storico-sociali o scienze umane), distinzione fondata sull’assoluta diversità del loro rispettivo oggetto di indagine: un oggetto assolutamente indipendente rispetto al soggetto nelle scienze naturali, dove il mondo naturale è altro dal soggetto che è l’uomo; un’identità tra oggetto e soggetto nelle scienze storico-sociali dove l’oggetto, cioè il mondo storico-sociale, è – come affermava già Vico – opera del soggetto, cioè dell’agire umano. Lo studio delle scienze naturali si basa sul metodo nomotetico, sulla spiegazione degli eventi in base a leggi universali; le scienze dello spirito si basano sul metodo idiografico che permette di comprendere i significati irripetibili di ogni evento storico. La differenza centrale tra le scienze umane e quelle naturali sta nel fatto che le prime sono volte allo studio di ciò che è singolare, individuale, mentre le seconde studiano l’universale.

Nella sua opera Limiti del metodo comparativo in antropologia (1896), B. smantella il paradigma dell’evoluzione unilineare proposta da Tylor. Boas ritiene che non sia assolutamente provata la tesi secondo cui ogni popolo attualmente presente in uno stadio progredito della civiltà sia passato attraverso una serie di stadi di sviluppo identici per tutti e che possono essere desunti dall’analisi di tutti i tipi di cultura esistenti al mondo. Boas afferma con convinzione che la sequenza dal semplice al complesso non è valida per tutti i fenomeni culturali: non lo è ad esempio per la lingua, o per l’arte, o per la religione. A dimostrazione di ciò, Boas fa riferimento ai numerosi studi da lui effettuati sui linguaggi degli indiani d’america e nota come «molte lingue primitive sono complesse», perché le loro strutture grammaticali e le loro forme logiche sono molto più elaborate di quelle occidentali: «Le categorie grammaticali del latino, e ancor di più quelle dell’inglese moderno, appaiono rozze se paragonate con la complessità delle forme logiche che le lingue primitive conoscono». Riguardo la tesi dell’unità psichica del genere umano, Boas la smonta attraverso la sua impostazione storicistica: la presenza di fenomeni simili in contesti culturali distanti può essere spiegata attraverso una connessione storica tra tali fenomeni. E’ probabile che questi fenomeni fossero acquisizioni culturali primitive risalenti a un periodo antecedente alla dispersione dell’umanità, o che si siano prodotte per contatti culturali diretti. Notando inoltre con che frequenza forme analoghe si sviluppino indipendentemente in piante e animali, Boas afferma che «non c’è nulla di improbabile nell’origine indipendente di idee simili tra i gruppi umani più differenti». Uno dei meriti principali di Boas è stato l’avere confutato il pregiudizio razzista. Nel suo La mente dell’uomo primitivo, Boas dimostrò come non vi sia alcuna influenza sulla cultura da parte dei caratteri biologici ed esplicò la sua tesi già presente in tutti i suoi studi secondo cui le differenze tra gruppi umani sono dovute solo alla cultura e ai diversi percorsi storici e non alla razza. Boas è stato anche il primo a introdurre il concetto di relativismo culturale che è del resto l’inevitabile approdo del particolarismo storico. Questa tesi si fonda sull’assunto secondo cui ogni cultura ha una sua unicità che la rende incomprensibile e impossibile da valutare a tutti coloro che non la studiano dal suo interno. Nato come correttivo dell’etnocentrismo (termine introdotto da William G. Sumner nel 1906), concetto che designa la tendenza a interpretare e giudicare le culture “altre” in base ai propri criteri, il relativismo culturale è poi divenuto per gli antropologi un ostacolo riguardo questioni etiche ed epistemologiche che si verranno a presentare più avanti.

Ne La mente dell’uomo primitivo (1911), Boas elaborò una propria definizione di cultura. Essa è definita come «la totalità delle reazioni e delle attività intellettuali e fisiche che caratterizzano il comportamento degli individui che compongono un gruppo sociale – considerati sia collettivamente sia singolarmente – in relazione al loro ambiente naturale, ad altri gruppi, ai membri del gruppo stesso, nonché quello di ogni individuo rispetto a se stesso». La cultura, continua Boas, «comprende anche i prodotti di queste attività» e soprattutto «i suoi elementi non sono indipendenti ma possiedono una struttura». Riguardo questa definizione, possono essere fatte alcune riflessioni. Innanzitutto, nonostante le sue varie critiche a Tylor, la sua definizione di cultura riprende da Tylor l’idea di totalità visto che anche per Boas la cultura è un insieme di elementi che non sono indipendenti ma che possiedono una struttura: ritorna quindi il concetto di insieme complesso. Diversamente da Tylor, tuttavia, Boas fa qui una distinzione tra due diversi aspetti della cultura: da una parte le reazioni e le attività comportamentali, dall’altra i prodotti di questa attività, cioè quella che potremmo definire la cultura materiale. Ciò che tuttavia spicca in questa definizione è la centralità riservata all’individuo: mentre nella definizione di Tylor l’individuo, inteso come “membro della società”, è un elemento passivo perché mero “portatore” della cultura, Boas assume l’individuo nella qualità di soggetto capace di “attività” e “reazioni”. :)

Nel suo fondamentale Handbook of American Indian Languages (1911) in quattro volumi, Boas fornì una documentazione unica sulla grammatica delle lingue degli Indiani d'America, molte delle quali oggi scomparse. La sua introduzione a quest’opera è stata considerata da molti esperti come uno dei testi più importanti della linguistica descrittiva e antropologica. Boas ritiene che vi sia un collegamento tra lingua e cultura, ed anzi la conoscenza della lingua viene ritenuta indispensabile per la conoscenza di una cultura. Queste riflessioni derivano dalla stessa personale esperienza di Boas. Egli studiò numerose questioni, quali il legame tra lingua e razza, l’influenza dell’ambiente sulla lingua, i rapporti tra linguaggio e pensiero. Nella sua più tarda opera General Antrhropology (1938), egli sosterrà la tesi secondo cui le categorie grammaticali di una lingua impongono a chi le usa delle scelte obbligate allo stesso modo in cui i soggetti sociali sono condizionati dalle regole della propria cultura. Boas non approfondì sistematicamente questo rapporto tra lingua e cultura, che fu invece ripreso da uno dei suoi allievi, Edward Sapir che, insieme al linguista Benjamin Lee Whorf, è rimasto noto per la cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf.
 
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