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Il santo bizantino

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Federico III
view post Posted on 4/2/2008, 18:00




In una chiesa bizantina, il presbiterio è interamente dedicato alla figura di Cristo, ai profeti precursori della sua incarnazione, alla Madre di Cristo con il bambino in braccio, agli avvenimenti più importanti del Nuovo Testamento.

Tutto il restante spazio disponibile è dedicato ai santi, rappresentanti della Nuova Alleanza, ovvero della Chiesa Universale (Cattolica). Martiri, santi guerrieri, vescovi, monaci, medici, diaconi. ogni santo reca scritto il proprio nome, ed ogni santo ha una propria iconografia specifica che lo rappresenta.

Le decorazioni di una chiesa bizantina sono indice delle fasi principali del grande disegno divino, in cui l’Antico Testamento si limita alla sola annunciazione della venuta del Messia, mentre la storia successiva all’Avvento di Cristo si incarna nei Santi, che sostengono l’edificio della Chiesa.

I santi più popolari erano sostanzialmente figure vaghe, appartenenti ad un passato lontano, come San Giorgio, San Teodoro, San Nicola, Santi Cosmà e Damiano, ecc.. Non si sapeva granché sul loro conto, se non che molti furono torturati e messi a morte da qualche tiranno all’epoca in cui i cristiani erano perseguitati. Inoltre, non vi era bizantino che ignorasse che San Demetrio fosse il patrono di Tessalonica, San Nicola il patrono di Mira, ecc..

In questo senso, i santi erano i successori degli antichi dèi ed eroi locali.

X.1) Dal martire al confessore ed al santo monaco



Grande persecuzione dioclezianea del 302-312. Vi furono molte migliaia di vittime, la cui memoria doveva essree tenuta in vita prima che potesse cadere nell’oblio.

Eusebio di Cesarea riportò tutti i casi di martirio a lui noti in Palestina; espose dettagliatamente le torture inflitte ad ogni vittima e la data precisa della sua morte.

Ben presto vennero costruiti i martyria, luoghi consacrati alla memoria dei martiri, ed i loronomi vennero trascritti nei calendari commemorativi. La Chiesa non dimenticò i suoi martiri, ma fu loro negato ogni tratto personale per renderli tutti uguali innanzi a Dio. Divennero nomi in un elenco.

Dopo l’editto di Milano di Costantino e Licinio, la possibilità di essere martirizzati scomparve quasi del tutto. Con il regno di Giuliano, si parla di una nuova produzione di martiri, ma molti di essi sono certamente fittizi --> altri martiri ebbero a patire sotto l’Imperatore ariano Valente. Anche la crisi iconoclastica dei secolo VIII e IX produsse un certo numero di martiri, protettori delle immagini, come anche in Persia (seguita dal dominio musulmano) ed in Bulgaria.

In linea di massima, però, l’era dei martiri si era conclusa con Costantino.

Ai martiri vennero sostituite altre due categorie di eroi cristiani: il confessore ed il santo monaco.

Il confessore viene definito come colui che subisce persecuzione e patimento (ma non morte violenta) per difendere la sua fede, soprattutto in occasioni di governi eretici (ariani, monoteliti e iconoclasti); per antonomasia, i confessori furono Atanasio d’Alessandria (esiliato per 5 volte per aver difeso la dottrina cattolica contro l’arianesimo sostenuto dal governo centrale) e Giovanni Crisostomo (ingiustamente deposto, morto in esilio per essersi opposto alle cattiverie ed intrighi delle alte sfere). Dovere di ogni buon cristiano era rendere testimonianza a Cristo; il significato di ‘testimone’ poteva restringersi a quelle sole persone che pagavano il prezzo finale e più alto (la morte), ma anche allargarsi tanto da includere altre forme di sopportazione e rinuncia.

Il numero di santi confessori è inferiore di molto rispetto al numero di santi monaci. La culla del monachesimo fu l’Egitto; esso si diffuse a macchia d’olio in Siria, in Mesopotamia, in Palesina, in Asia Minore orientale, fino a Costantinopoli verso la fine del IV secolo, così che il tipico santo bizantino fu proprio il monaco: una persona che stava al di fuori della struttura ufficiale della Chiesa, nonostante i ripetuti tentativi di ssoggettare il monachesimo all’autorità vescovile. Il monaco trovava in San Giovanni Battista il suo modello ideale, e si basavano sul passo del Vangelo in cui stà scritto “Se vuoi essere perfetto va’, vendi i tuoi averi, e avrai un tesoro nel cielo” (Matteo 19,21). Anche il monaco era un soldato, e combatteva contro le forze invisibili delle tenebre. Il campo di battaglia era mutato, ma il nemico era lo stesso: infatti, il paganesimo non era che un’invenzione demoniaca; era stato il diavolo ad escogitare la persecuzione della Chiesa, e se la sconfitta del paganesimo fu un colpo duro per lui, ora volgeva le sue energie sulla moltiplicazione delle eresie. Monaci, confessori e martiri combattevano per la stessa causa, che era la lotta contro il diavolo e i suoi demoni, lotta che si sarebbe risolta con il Secondo Avvento. Di questa battaglia, i monaci ero gli esperti, grazie al loro addestramento specifico.

I demoni erano percepiti come creature assolutamente reali. Ce n’erano miriadi ed infestavano l’aere sopra la terra. I demoni si impossessavano di esseri umani ed animali. Potevano anche essere insediati nelle persone, cosa cui provvedevano i maghi.

Il santo monaco, che sui demoni aveva acquisito potere, disponeva del migliore equipaggiamento per curare i malati.

Non rientrava nel paganesimo classico credere all’esistenza di un numero infinito di poteri maligni.

Il Nuovo Testamento ammette l’esistenza dei demoni, causa di disordini per uomini ed animali, ma fa anche riferimento al diavolo che stringe in suo potere tutti i regni della Terra e semina l’erba cattiva che si mescola al grano buono.

Cristo ed i suoi discepoli credevano ai demoni non meno degli Ebrei della diaspora.

Furono i teologi cristiani, soprattutto trai secoli II e III, ad affrontare la costruzione di una scienza della demonologia. Nel IV secolo, la demonologia, considerata prima con sufficienza dagli intellettuali greci e romani, veniva ora accettata quasi universalmente, ed era divenuta uno strumento assai potente nelle mani della Chiesa.

Se il compito primario del santo monaco è combattere la lotta contro i demoni, deve egli stesso diventare specialista di quel tipo di guerra. I demoni sono sostanzialmente deboli, ma sono ricchi di espedienti: agiscono attraverso la gola, l’avarizia, l’invidia, l’ira; provocano allucinazioni; spaventano l’uomo apparendogli sotto forma di bestie feroci, insetti repellenti, rettili, giganti, soldati; possono recitare la parte di santi, di angeli e persino di Cristo. Astenendosi da cibo e bevande, con patimenti, preghiere costanti, il varo monaco purifica gradualmente il suo intelletto sino ad acquisire il dono del discernimento degli spiriti, e solo allora potrà distinguere i demoni sotto i loro travestimenti ed anche sentirli all’olfatto (con un cattivo odore). Il monaco, così, è capace di riconoscerli e scacciarli via.

Il santo monaco per eccellenza è Sant’Antonio, protagonista della più antica biografia conosciuta di un santo cristiano, composta nel IV secolo. E' possibile che la sua Vita possa essere stata scritta da Atanasio d’Alessandria, e fu subito di grande fruizione per l’epoca, tradotta in latino ed in altre lingue, e funse da esempio per l’agiografia postuma. Vengono omesse informazioni classiche che possono trovarsi in una biografia: non vi è, infatti, presente alcuna data; l’ambientazione geografica è estremamente vaga, e si parla solo di un villaggio in Egitto; si ritira in eremitaggio in un deserto innominato e poi in un luogo ancor più scognito. Il personaggio è privo di ogni caratterizzazione fisica o morale, a parte il fatto che fosse analfabeta, che parlasse solo egizio, che non fosse né troppo magro né troppo grasso, che avesse sempre un’espressione felice in viso e che fosse rimasto in ottima salute fino a 105 anni. Nulla ci dà un’immagine mentale di Antonio: l’unico tratto della sua personalità è che era un santo. Antonio volle diventare martire egli stesso, ma per ragioni indefinite non riesce nel suo proposito. Andò contro l’eresia ariana. La Vita di Antonio potrebbe essere definita priva di episodi salienti, ma è comunque dominata da un’incessante lotta contro il diavolo, ed è questo il vero argomento della biografia. Le tentazioni del santo vanno dalla nostalgia della famiglia, degli averi, degli agi della vita domestica, del sesso, e culmina con allucinazioni accompagnate da violenze fisiche. I demoni sono considerati come abitanti dell’aria, che per natura è turbolenta, in contrasto con la serenità dei cieli; dall’aria, i demoni sono in grado di intercettare l’ascesa verso l’alto delle anime umane, reclamando per sé quelle che sono soggette a loro e permettendo il passaggio solo alle anime pure.

La Vita di Antonio è stata appositamente concepita in modo da servire gli interessi di un ben preciso partito ecclesiastico, ovvero quello del patriarca Atanasio: Antonio, infatti, viene rappresentato come il nemico dell’eresia.

Ai vescovi ed ai preti, Antonio mostra il dovuto rispetto, ma con il suo ritiro dalla società, si era posto al di fuori del ministero dei sacramenti della Chiesa. E' altresì difficile che un uomo incolto, quale sembra che fosse, potesse veramente nutrire opinioni precise in merito alle sottilissime dottrine teologiche esistenti tra cattolici ed ariani e, probabilmente, il monachesimo predicato da Antonio sarebbe anche potuto diventare una minaccia per la stessa Chiesa.

La Vita di Antonio ci offre una delle più chiare enunciazioni dell’ideologia monastica e del suo rapporto con il demoniaco. Costituisce il modello di tutta l’agiografia successiva. Può servire allo studio dei santi e della stessa scienza agiografica.

X.2) Chi era santo?



Sino all’inizio dell’età medievale, la Chiesa orientale non ebbe canoni precisi per la santificazione. La santità veniva conferita da Dio, non da una commissione fatta da uomini, ed erano i miracoli postumi a manifestarla. In pratica, però, la faccenda risultava diversa: guardando il processo a ritroso, vediamo che la fase finale consisteva nell’inclusione del santo nel calendario liturgico (synaxarion), ovvero di unacompilazione assai ingente che elenca circa 2000 santi ed indica in quale chiesa o chiese della Capitale veniva celebrato l’ufficio commemorativo del santo (synaxis). Molte voci vengono associate ad un sunto biografico.

La compilazione e diffusione dei synaxarion ebbe l’effetto di limitare il numero dei nuovi accessi: furono molto poche le aggiunte di santi tra i secoli XII e XV.

I santi del synaxarion erano, in effetti, della merce ben assortita: includono, ad esempio, l’imperatore Giustiniano o, sembra, anche Giustiniano II, Fozio, il patriarca Ignazio, e non mancano altri vescovi e patriarchi di dubbie credenziali. Vi sono molti fondatori di monasteri o santi ‘suddivisi’ in più persone diverse.

Tutte queste figure, come poterono entrare nel synaxarion? Vi entrarono presumibilmente grazie ad un grosso lavoro di compilazione: da calendari precedenti, da fonti letterarie, dai dittici di singole chiese. E' ovvio notare che la trasmissione fu soggetta ad un gran numero di errori.

Come accadde che i synaxarion includessero certi santi a preferenza di altri? Ad esempio, il fondatore del monastero di Santa Gliceria, il nobile armeno Gregorio Taronites (cui è attribuito il miracolo della scacciata dei topi che infestavano l’isola sulla quale sorgeva il monastero ed il dono della “seconda vista”), alla sua scomparsa, venne inserito nel calendario del monastero in seguito copiato in manoscritti che viaggiarono oltre i confini dello stesso monastero, così che una figura d’interesse strettamente locale entrò a far parte della cerchia dei santi riconosciuti.

Ma non è possibile prendere le 2000 voci del synaxarion per ridurle ad un denominatore comune.

A partire dall’epoca paleocristiana, la tomba del santo era stato il luogo deputato al suo culto. La tomba era anche la prova definitiva della santità, poiché la differenza delle ossa di un comune mortale e quelle di un santo era fondamentale. Se un peccatore veniva seppellito in una chiesa accanto ad un santo, il santo defunto poteva fare in modo di impedirne la sepoltura, fermando i becchini in procinto di adempiere il loro lavoro, dato che cimiteri e chiese nulla avevano a che fare e solo chi non era realmente morto ma che viveva in Cristo poteva esservi seppellito; un esempio opposto: alla sepoltura di Giovanni l’Elemosiniere, questi fu posto in una tomba con due santi vescovi, i cui scheletri si fecero da parte per accogliere la nuova salma del santo; il corpo del peccatore, invece, poteva anche essere rifiutato dai vicini di sepoltura.

Il santo rimaneva vivo nella sua tomba, che di norma emanava un buon profumo. La tomba divenne fonte di guarigioni, ed anche l’olio dei lumi accanto alla tomba erano fonte di miracoli, tanto da sanare le malattie e scacciare i demoni. Le tombe di alcuni santi eccezionali avevano la caratteristica di emettere olio o sangue.

La domanda “Chi è santo?”, quindi, non si poneva per i bizantini: era Dio stesso a fornire la risposta al momento della morte. In rare occasioni, Dio poteva anche arrivare a spostare il corpo in località ignota, come per San Simeone di Emesa (Siria, IV secolo), il quale morì povero sotto un cumulo di tralci nella sua modesta capanna, e fu deposto in un cimitero per stranieri senza ceri né lucerne; il protettore e confidente di Simeone fu avvertito della morte dell’amico e lo volle dissotterrare per dargli una degna sepoltura, ma il corpo non c’era più, e fu il Signore a rimuoverlo per glorificarlo.

X.3) I meccanismi dell’agiografia: qualche esempio



Alcuni santi bizantini ci sono noti grazie ai loro scritti, alle loro azioni pubbliche ed alle loro menzioni da parte di contemporanei.

Nella maggior parte dei casi, è l’agiografia a costituire la sola documentazione o, almeno, quella principale.

L’agiografia bizantina non era un mezzo di comunicazione ingenuo ed imparziale.

Non c’è un caso che sia del tutto identico ad un altro, ma prendiamo un caso ipotetico di un santo. Si ipotizzi che questi abbia fondato un monastero nel VI secolo; originario di un’altra provincia, egli dapprima abbracciava la vita monastica in una certa comunità, poi diventa eremita; dopo diversi anni di vita ascetica e dopo aver cambiato diverse località, il santo perviene alla sua sede definitiva, raccoglie un certo numero di discepoli ed organizza un istituto monastico indipendente: un monastero non era solo questione di fratellanza spirituale, ma occorreva qualche edificio, una cappella, un mausoleo, campi da coltivare, ovvero una donazione; quando il santo è avanti con gli anni o, più spesso, dopo la sua morte, uno dei suoi monaci decide di comporne la biografia, raccogliendo le storie che ha ascoltato dalla viva voce del santo e domandando ai confratelli ciò che di questi ricordassero; molto probabilmente, le origini del santo e gli esordi della sua ‘carriera’ cadono nell’oblio, e tale parte può essere ricomposta attraverso un modello ben preciso e riconosciuto; il resto consisterà in avvenimenti privi di collegamento e dalla confusa successione cronografica.

La biografia viene composta con i materiali che si hanno sottomano, e se il greco in cui è scritta non è abbastanza buono, la correzione può essere effettuata da un letterato. Gli scopi della Vita sono di fare pubblicità al monastero attraverso la persona del suo santo fondatore e di rendere disponibile una lezione, ovvero un testo che verrà letto ad alta voce il giorno del suo anniversario. Il fondatore deve, di conseguenza, essere rappresentato come un santo tipico, incarnazione di tutte le virtù monastiche, e non come un semplice uomo, con tutte le debolezze che contraddistinguono.

Se il monastero cadesse in declino e poi scomparire, anche il testo può scomparire. Il testo può anche essere tradotto in un’altra lingua, e molto spesso ciò che ci è pervenuto non è che una traduzione, una parafrasi o un sunto.

Il X secolo testimonia un gran numero di raccolte ed edizioni su base di uniformità stilistica delle Vite dei santi più importanti. Vi era una cosmesi stilistica e l’eliminazione di tutti i dettagli giudicati superflui o inadatti; il testo originario, ormai non più necessario, veniva il più delle volte perduto. La biografia sarebbe stata abbreviata in varie forme per essere inclusa nei diversi calendari liturgici. La data commemorativa del santo avrebbe, poi, ispirato encomi retorici ed inni poetici.

Nella maggior parte dei casi, il santo bizantino non è un’entità separata dal suo dossier agiografico. La sua personalità è stata completamente cancellata (come, nella morte, l’uguaglianza innanzi a Dio non dava distinzioni tra persona e persona).

Lo storico troverà un bagaglio di informazioni vivaci ed autentiche in merito alla vita quotidiana, ed egli è altresì autorizzatoa trattare il testo agiografico come espressione di ideali che i bizantini si proponevano e dei limiti del loro mondo intellettuale.

Esempi su tipi di santi e sul funzionamento agiografico

Santa Matrona  fondatrice di un onastero. E' fondamentale il fatto che sia realmente esisitita (lo si capisce da fonti cronachistiche e compare tra le personalità che si opponevano all’Imperatore Anastasio). Nella disputa tra cattolici e monofisiti, Anastasio, come il suo predecessore Zenone, adottò una politica di conciliazione nei confronti della parte ‘eretica’, e cercò di applicare l’Henotikon emanato da Zenone. A Macedonio, patriarca di Costantinopoli, spettava di accertarsi che i monaci e le monache in disaccordo con l’Henotikon seguissero la linea dell’Imperatore, ma di fronte all’ostinazione dei religiosi, il patriarca rinunciò al suo intento senza perseguitarli. Matrona risulta presente tra questi ‘recalcitanti’. Matrona viene descritta dalla cronaca come ancora in vita e come operatrice di molti miracoli. Matrona ottenne una notorietà nella lotta della dottrina cattolica, e ci sarebbero buoni motivi per credere che la sua convinta resistenza alle disposizioni imperiali sia stata tra gli elementi della sua fama postuma. L’agiografia di Matrona è molto semplice: consiste in una Vita, delle parafrasi e in un riassunto di tali parafrasi; quindi, tutto ciò che si deve leggere di Matrona si riduce alla sua Vita, scritta dopo la morte, forse da una monaca (una delle poche agiografie composte da una donna) che non asserisce di aver conosciuto direttamente la santa, ma di aver attinto informazioni da una donna vicina alla stessa santa. La Vita ci parla di una donna perseguitata di paese in paese, da un marito dispotico, fin quando non trovò pace in un monastero, fondato insieme ad altre consorelle. Originaria dell’Asia Minore meridionale, giunge a Costantinopoli a 25 anni con il marito e la figlia. Per la sua indole pia e l’avversione al marito, Matrona iniziò a frequentare delle devode della chiesa dei Santi Apostoli, le quali l’aiutarono a fuggire dla marito, rendendosi latitante, e ad affidare la figlia ad una vedova. Il marito credeva che la moglie si desse alla prostituzione, e Matrona, travestendosi da eunuco, entrò in un monastero maschile, dove fu subito scoperta. Nel frattempo, Matrona scopre che la figlioletta è morta ed ha il marito alle calcagna, così riesce a scappare in segreto in un monastero in Siria, in cui diviene badessa per le buone prove che diede di sé stessa: opera un miracolo, sanando un cieco con l’olio santo che essudava da una testa di SanGiovanni battista da poco scoperta. Matrona viene scoperta dal marito e scappa a Gerusalemme e da qui sul monte Sinai e poi nel Libano, dove prende alloggio in un tempio pagano abbandonato infestato da demoni. Matrona converte le figlie dei pagani, ma ambisce a far ritorno a Costantinopoli per rivedere i monaci che l’aiutarono a fuggire. Il marito, ormai morto, torna a Costantinopoli con alcune dame di alta condizione sociale. Matrona suscita l’interesse dell’Imperatrice Verina, moglie dell’Imperatore Leone I, ma non impetra favori. Matrona riceve in donazione un terreno poco fuori Costantinopoli, dove costruì un monstero insieme alle compagne grazie ad una benefattrice costantinopolitana diciottenne che si trovava in condizioni simili al passato di Matrona. Il diavolo, offeso in Libano da Matrona, la tormenta in sogno, ma poco prima di morire le viene concesso di vedere la Vergine Maria in paradiso, e ciò risulta il sigillo divino della sua santità. Non vengono ricordati miracoli postumi.

Di Matrona viene stranamente tralasciata l’opposizione di questa all’Imperatore Anastasio. Si parla solo del mantenimento sempre e comunque della fede ortodossa da parte sua anche sotto la tempesta che sconvolse la Santa Chiesa.

Ma se le informazioni sono state prese dallo scrittore (o scrittrice) da una persona vicina a Matrona, come mai le imprese della stessa risultano ‘oscurate’, come chi scrive asserisce? È possibile che vi fosse ancora sul trono l’Imperatore Anastasio, ma in questo caso la Vita non può essere stata scritta prima del 518: ma, allora, perché chi scrive ci informa che il monastero di Matrona è ancora in piedi?

La Vita di Matrona è importante in quantoriguarda un ambiente assai preciso, a maggior ragione perché si tratta di una comunità femminile. Ma ci si domanda se la sua rivendicazione di santità sia dovuta alla persecuzione che ha subito da parte del marito, dal fatto che abbia fondato un monastero femminile, che abbia compiuto un miracolo o che sia andata contro le disposizioni religiose imperiali di Anastasio.

San Giovanni l’Elemosiniere. Fu patriarca di Alessandria. Cipriota di nascita, figlio di un governatore di Cipro, non era né monaco né prete ma un uomo ricco con moglie e figli. In quegli anni (intorno al 609), l’Impero doveva vedersela con i Persiani e con le lotte interne causate dall’odiato Imperatore Foca, dall’esarca di Cartagine Eraclio e Niceta, suo cugino. I ribelli conquistano Cipro e nominano Giovanni patriarca d’Alessandria, mentre sembra che moglie e figli fossero morti nel frattempo. Essere patriarchi ad Alessandria sotto disposizioni imperiali era una cosa rischiosa, data l’attitudine del popolo egiziano al monofisismo ed ai tumulti di piazza, ma la situazione era, adesso, molto peggiore, perché i profughi orientali, scappati per la guerra persiana, si rifuggiavano in Egitto, e vi era grande penuria di viveri. Sembra che Giovanni seppe adempiere alle sue manzioni con vigore e tatto. Dopo 10 anni, quando i Persiani avanzavano verso l’Egitto, Giovanni si riparò a Cipro, in cui costruì una chiesa in onore di Santo Stefano. Morì intorno al 620.

Non si ha motivo di dubitare della generosità e santità di Giovanni l’Elemosiniere. Comunque stessero le cose, due sueoi amici scrissero un encomio funebre in cui si narravano le sue imprese più importanti  Giovanni combattè contro i monofisiti; fu caritatevole con i profughi che si rifugiarono presso di lui; costruì ostelli e reparti di maternità; prese misure contro la sodomia; inviò aiuti ai prigionieri di Gerusalemme ed altre imprese analoghe. Dell’encomio ci è pervenuto solo un riassunto, comunque perfettamente credibile.

Nel 641, l’arcivescovo di Cipro volle un’altra biografia di Giovanni l’Elemosiniere, e la commissionò ad uno dei vescovi ausiliari che aveva già dato prova di talento agiografico. L’opera risultante giovò alla città dove era sepolto Giovanni, la cui tomba cominciava a mostrarsi miracolosa (probabilmente per propagande anti-monofisita). La nuova biografia è ricca di aneddoti vivaci, scritti da una persona che non conobbe mai Giovanni, anche se afferma, falsamente, di aver visto certi fenomeni con i suoi occhi e di aver appreso altre notizie da un informatore alessandrino. L’encomio funebre su Giovanni, in seguito, su mescolato alla Vita di Leonzio (il vescovo che scrisse quest’ultima biografia di Giovanni), parafrasata in un greco più elegante e, nel X secolo, l’opera fu ri-parafrasata fino a ridurre l’opera ad una sola pagina per inserirla nel synaxarion di Costantinopoli nel giorno dedicato alla memoria di Giovanni. Anche qui la personalità del santo viene completamente cancellata.

Negli aneddoti inseriti nella Vita di Leonzio, si aprono diversi squarci di vita alessandrina, ma poco verificabili storicamente.

L’agiografia bizantina è ricca anche d’invenzioni. Esistono Vite di santi che probabilmente non sono mai esistiti. Esistono Vite di personaggi realmente vissuti, anche molto famosi, che distorcono completamente le loro azioni storicamente riconosciute e le volgono in fiaba.

Esistono anche Vite di santi di cui non si sa completamemte nulla, come per San Sansone xenodochos.

San Sansone xenodochos era ritenuto il fondatore del più grande ospedale di Costantinopoli, facente parte dell’amministrazione della chiesa Cattedrale. Un’icona lo rappresenta come un uomo con la barba di media lunghezza, il Vangelo in mano (era, dunque, un prete) e lo sguardo fisso innanzi a sé. La documentazione su di lui, fino a qualche tempo fa, era formata solo da una Vita, in cui vi erano descritti anche miracoli postumi, e da un riuassunto della Vita scritta nel synaxarion. Poi fu scoperto un testo più antico, un encomio di cui dovette tener presente lo scrittore della Vita, dal quale si venne a sapere che l’encomio stesso fu scritto molto dopo la morte del santo, le cui opere sono state quasi tutte oscurate dal tempo; che Sansone era d’origine romana, discendente di Costantino; che imparò le scritture e la medicina; alla morte dei suoi parenti distribuì tutti i suoi averi ai poveri, liberò i suoi schiavi e si recò a Costantinopoli, dove suscitò l’interesse del patriarca Menas (536-552); diventa prete a 30 anni e viveva in una casetta in cui si prendeva cura dei poveri. Sembra che durante una malattia ai genitali, l’Imperatore Giustiniano lo abbia sognato, indicato da un angelo, come l’unico uomo che avrebbe potuto guarirlo, e così avvenne. Sansone chiese all’Imperatore di costruire un ospedale nei pressi della sua casetta, vicino Santa Sofia, e così avvenne. 1/3 del tesoro di Gelimero portato a Costantinopoli da Belisario dopo la guerra ai Vandali, andò all’ospedale. Morì e fu sepolto nella chiesa di San Môkios. La sua tomba risultò miracolosa, essudando olio santo.

L’ospedale fu bruciato nella rivolta del Nika (532), e Procopio parla proprio di Sansone come il suo fondatore; quindi Sansone dovette vivere prima dell’Imperatore Giustiniano. La Vita, quindi, risulta un’invenzione da leggere per il giorno della commemorazione del santo, basata su due elementi fisici: 1) la casetta; 2) la tomba miracolosa. L’esistenza di un culto creò la necessità di una biografia, e fu così che Simeone xenodochos, come tanti altri santi, entrò a far parte dell’elenco agiografico.

X.4) La scala delle mortificazioni



Inizialmente, la santità scaturita dal monachesimo non cercava pubblicità, ma l’esatto opposto. Dato il suo grande successo, divenne polo d’attrazione di una diffusa curiosità. Nacque, così, un nuovo genere letterario che può essere definito “Scene di vita monastica”.

Historia monachorum in Aegypto è seguita da Storia lausiaca (dedicata al gran ciambellano imperiale Lauso); Teodoreto di Ciro compose la sua Historia religiosa (per far vedere che la Siria non era inferiore all’Egitto), e nel VI secolo, il monofisita Giovanni di Amida (o di Efeso) scrisse le Vite dei santi d’Oriente, in cui esaltò le gesta dei suoi correligionari; nel VII secolo, Giovanni Mosco raccolse storie monastiche per parte cattolica, in cui appaiono bene gli elementi di rivalità interconfessionale e regionale.

Il pubblico voleva sapere come i monaci acquisissero i loro poteri. Non v’era alcuna uniformità in questo: monaci diversi praticavano tipi di disciplina diversi. Tutti sottostavano a forme di privazione, ma di questa ne esistono molti gradi: cibi, bevande, sonno, abbigliamento, giaciglio, ecc..

I monaci d’Egitto, comessivamente, evitavano tutte le forme di mortificazione eccessivamente rigide o innaturali, i quali affermavano (come faceva il monaco Apollô) che i monaci che esageravano non fossero che degli esibizionisti in cerca delle lodi degli uomini. Apollô praticava l’astinenza da ogni cibo cotto (compreso il pane), limitandosi per 6 giorni alla settimana al cibarsi di piante spontanee del deserto; si genufletteva 100 volte al giorno e altrettante di notte; dormiva in una spelonca; indossava una tunica dalle maniche corte ed un turbante sul capo.

Come i martiri subirono le più terribili torture, anche i monaci dovevano assoggetarsi alle punizioni più severe. Il monachesimo doveva essere reso più stupefacente possibile per suscitare l’interesse del pubblico.

Il monachesimo costantinopolitano fu in gran parte un’invenzione siriaca.

Secondo la Historia religiosa di Teodoreto di Ciro, i monaci abitavano in capanne o grotte troppo piccole per il corpo umano; portavano collari e catene di ferro; alcuni non si coricavano mai ed altri rimanevano sempre all’aperto così da esposrsi alla calura ed al gelo. Il santo più famoso di Teodoreto di Ciro fu San Simeone Stilita, fondatore della più insolita forma di ascetismo: cosa spinse Simeone a passare 37 anni ritto in cima ad una colonna? Era per fungere da intermediario tra l’uomo e Dio o era per esporsi il più possibile all’azione dei demoni che infestavano l’aria? Quale che sia la risposta, fatto sta che Simeone scelse una colonna chiaramente visibile da una delle erterie principali di comunicazione. Seppe attrarre folle di pellegrini.

Alla fine del VI secolo, Evagrio (storico della Chiesa, siriaco) descrive i progressi della disciplina monastica. Oltre ai monaci che digiunavano, tratta di ‘erbivori’, ovvero uomini e donne dei deserti seminudi che si cibavano esclusivamente di erbe selvatiche e che, col passare degli anni, arrivavano ad assomigliare a delle bestie, rifuggendo da qualsiasi contatto umano.

Secondo Evagrio esistevano anche santi folli, che simulavano la pazzia e dimoravano nelle città, affatto insensibili ad ogni necessità e passione umana: in essi, l’elemento naturale era stato piegato a tal punto che potevano conversare con le donne o frequentare i bagni senza rischio morale. Immettendosi nel ruolo dei più disprezzati (i dementi), si esponevano alla completa umiliazione, vincendo, così, il peccato di superbia.

Tra la Siria e la Mesopotamia, l’unica corrente monastica a non aver avuto successo è stata quella degli ‘erbivori’.

Il monachesimo continuò a dividersi in due parti anche dopo il VI secolo: una parte fu comunitario a l’altro solitario. Il primo monachesimo fu esclusivamete solitario (da monos, ‘uno’).

X.5) Il santo nella società



L’Imperatore Giuliano (361-363) mise in ridicolo i monaci cristiani per il loro odio dell’umanità. La città era il centro della civiltà, della società, e i monaci l’abbandonavano, manifestando la loro misantropia.

L’esempio del santo, la sua azione taumaturgica, dovevano rivolgersi solo ai villici con cui veniva a contatto, o l’abitante della città si metteva in viaggio per raggiungere il santo? O, ancora, era il santo monaco a venire in città, dove, però, era come un pesce fuor d’acqua?

La città non portava ad una tranquilla vita di contemplazione, ed al suo interno vi era la Chiesa, che spesso ebbe atteggiamenti ambivalenti nei confronti dei monaci. Nonostante ciò, dal IV secolo, si trovano sempre più monaci diretti verso i centri abitati, dove finiscono per stabilirsi, anche se nei sobborghi (così da mantenere un certo isolamento, pur essendo raggiungibili dal fedele cittadino). I monaci reputavano importante restare vicini agli abitanti delle città forse eprché desideravano estendere il loro ministero o perché potevano meglio accedere alle fonti d’influenza e potere.

Tutti i santi bizantini esercitavano qualche intervento sulla società: curavano i malati, esorcizzavano i demoni, proteggevano gli animali d’allevamento, ammonivano i peccatori, convertivano i pagani, combattevano l’eresia, intervenivano in favore di chi aveva subìto torti, ecc..

Esempio di un santo sub-urbano: Ipazio, il quale si stabilì nei pressi di Costantinopoli, al confine tra il mondo rurale e il mondo della Capitale. Ipazio non portò mai a termine i suoi studi, ma veniva da un’istruita famiglia di provincia. Scappò di casa e si unì ad una comunità monastica in Tracia, dove si fece credere schiavo. Riprese i contatti con la famiglia quando il padre, rimasto vedovo, scoprì dove si era nascosto; un monaco più intransigente avrebbe evitato, ma Ipazio accompagnò alla Capitale il padre per certi affari, e decise di non fare ritorno in Tracia ma di cercare, al di là del Bosforo, una zona isolata in cui stabilirsi, trovando un monastero ormai cadente in cui si stabilì per il resto della vita. Il monastero doveva essere enorme, dato che alcuni ambienti ospitarono anche la famigli aimperiale ed altri ospiti eminenti: non sembra, insomma, un posto in cui cercare l’anonimato ed il ritiro dal mondo. Vita di Ipazio è ricca di una trama di temi: l’atteggiamento paternalistico nei confronti del contado e della gente comune; la critica della Chiesa istituzionale; l’attenzione ai rapporti con i ricchi ed i potenti. Ipazio beneficia di donazioni da parte di alti dignitari, Imperatore compreso, così da ricostruire il monastero e dotarlo di fondi. Ipazio esorcizza, ma rifiuta la ricompensa; cura i cavalli della posta pubblica; aiuta un segretario della Prefettura a ritrovare certi documenti; esce dal proprio monastero per esorcizzare una dama di rango imperiale Dato il suo alto rango, Ipazio potrebbe opporsi ai potenti come nessuno potrebbe fare, e difende un console dalla giustizia rivendicando le superiori esigenze di Dio. Ipazio funge da intermediario tra l’alto ed il basso della società, intercalando verso il basso ciò che gli viene dall’alto. Durante una carestia riuscì ad avere i fondi per fare scorte di grano e dare pane gratis ai contadini affamati. Assiste i malati; guarisce gli animali d’allevamento; ascolta gli oppressi; scaccia i demoni e annuncia prossime morti, avvertendo di redimersi in tempo dal peccato. Opera conversioni in campagna e combatte pratiche magiche diffuse.

L’insegnamento di Ipazio è convenzionale: amore di Dio e del prossimo, temperanza, la fuga dalla superbia e dall’accidia e la preghiera continua. Il matrimonio è portatore d’ingiustizia, perché crea il bisogno di denaro e provoca litigi e spergiuri. Ma Ipazio non promuove alcuna riforma sociale, eprché i monaci sono già abbastanza onorati dai potenti, e Dio non verrà mai ringraziato abbastanza per questo.

Col declino della città (VII-VIII secolo) vi fu un’alterazione del rapporto città-campagna. In Asia Minore si impose una nuova aristocrazia di signori della guerra La perdita delle provincie orientali a causa degli Arabi fece sparire quegli asceti d’origine orientale, molto famosi solo poco precedentemente.

Cambiando la società, sarebbe dovuto cambiare anche il ruolo del santo, ma dai testi agiografici del IX, X e XI secolo sembra non fosse così. Il paesaggio che fa da sfondo è cambiato, ma gli ideali di santità sembrano rimasti gli stessi.

I testi tendono ad essere trascritti in un greco sempre più elegante, proprio mentre il tenore di vita va in declino: si crea, forse, un’illusione ottica?

Esempio che mette a fuoco il problema: San Luca. Santo più famoso nel medioevo greco. Fondatore di un imponente monastero in Beozia: con chiesa grande e sontuosa, tra i cui mosaici appare il santo stesso. Luca venne sepolto in una cripta sotto la chiesa, prendendo misure adeguate alle visite dei pellegrini.

Le fortune di Luca e della sua famiglia andarono perduti durante le invasioni straniere in grecia nel IX e X secolo. Era discendente di profughi e contadini. Dopo aver abbandonato la sua terra, si recò ad Atene, Tebe e nel golfo di Corinto. Non imparò mai a leggere e scrivere, ma rispettava la cultura. Rispettava la Chiesa istituzionale. Era un discreto giardiniere e la sua gentilezza con gli animali catturava il lettore moderno. La sua attività sociale consisteva in atti di carità (già da tenera età) e nell’ospitalità rivolta agli stranieri. Aiuta due fratelli a trovare un tesoro nascosto; provoca il pentimento di un omicida; grazie a lui un marinaio trova il pesce; per 10 anni fa da umile attendente ad uno stilita; nutre i profughi su un’isola; salva una nave di passaggio; più chiaroveggente che autore di miracoli, viene consultato dalle autorità nei casi d’emergenza, dalle quali riceve fondi necessari per la costruzione di una chiesa e di tutto l’edificio monastico.

Rispetto alle Vite scritte 5 secoli prima, quella di Luca ha orizzonti ristretti e un contenuto banale. I rigori dell’iniziazione ascetica del santo, le saltuarie tentazioni demoniache, l’insensibilità conseguita, gli acciacchi che lo colpiscono: tutto è fedele al modello, come anche il rapposto con i funzionari imperiali ed aristocratici. E' grazie al sostegno finanziario del funzionario imperiale che il monasterò poté essere costruito e diventare meta di pellegrinaggi, ed i miracoli operati dopo la morte del santo sono più fantastici di quelli compiuti dallo stesso quando era in vita. Una volta attivato il culto, viene commissionata la biografia in greco letterario ‘alto’, così da stupire il pubblico delle clasis più elevate, ed il chiaroveggente di campagna viene innalzato a santo.

Una delle ragioni dell’uniformità dei santi bizantini nei secoli: la maggior parte non erano solo monaci ma fondatori di monasteri, dove era più probabile che la loro memoria venisse perpetuata tramite opere scritte. Un diverso tipo di santo (come un santo ‘folle’) non aveva una struttura istituzionalizzata intorno a sé e non aveva né seguito né culto, anche se si pensa che di santi ‘folli’ ne fossero esistiti parecchi e se ne conservano solo due biografie (Simeone di Emesa e Andrea di Costantinopoli); nel XII secolo, San Leonzio (che concluse la sua carriera come patriarca di Gerusalemme) fu un santo ‘folle’ a Costantinopoli, ripetendo le stesse imprese di Simeone (VI secolo): se fosse rimasto folle, non avremmo notizie di lui.

Il fondatore o l’abate di un monastero, erano amministratori che dovevano procurarsi denaro, e stavano in posizione subordinata rispetto ai loro ricchi padroni (ma spesso, gli abati, prima di diventare tali, erano i maggiori donatori di fondi al monastero), e ciò vale sia per Ipazio (VI secolo) che per Luca (X secolo).

Il santo, per esigenze letterarie, doveva essere ritratto come un uomo devoto solo a Dio, che cercasse la pace interiore ed il rifiuto di ogni mondanità; dall’altro, andava riconosciuto un certo legame tra il santo ed i potenti, e le donazioni erano sempre elargite spontaneamente, per non fare apparire il santo come un parassita.

L’antichità dei modelli era garanzia di santità riconosciuta. La maggior parte dei santi raffigurati sui muri delle chiese è di età antica, e solo raramente si unisce alla ‘parata’ un monaco medievale come Luca, e ciò può spiegare le somiglianze che si incontrano lungo un arco di tempo plurisecolare.

Il prestigio di un lontano passato ed i limiti intrinseci al genere agiografico, sono alcune ragioni che spiegano perché il santo bizantino rappresentato rimase fedele ai primi esempi del suo tipo. Altro fattore sta nella natura del monastero, che tendeva sempre più a diventare una piccola impresa agricola, indipendente dal controllo ecclesiastico ma sfruttata da un patrono privato, ma non è escluso che tramite analisi più dettagliate non possa essere verificato che i casi più numerosi sono opposti a quelli appena descritti.
 
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